L'ideologo di Putin: «Noi russi in
guerra con l'Europa. A Trump fermarci non conviene: si arricchisce,
prosciugando voi»
di Marco Imarisio (Corsera 17/10/2025)
Sergey Karaganov, ideologo del capo del Cremlino: «Deve tornare la paura. Gli Usa non rappresentano il peggio della civilità occidentale: sono molto più razionali di voi europei, è più facile trattare con loro»
MOSCA - «Un grande Paese ha bisogno di una ideologia di Stato. Altrimenti non è niente. E quando la perde evapora la nazione stessa. L’antica Roma ce l’aveva, l’Italia di oggi no. Forse è per questo che da molti secoli non siete un grande Paese».
Non devono ingannare Le quattro stagioni in sottofondo, «Vivaldi è il mio compositore preferito, quindi io amo l’Italia», il gatto che ronfa sugli scaffali della libreria, il tè offerto dalla segretaria e l’aria affabile del padrone di casa, che ci riceve nel suo ufficio alla Hse, la facoltà di Economia e Affari internazionali che molti considerano come l’incubatrice della nuova classe dirigente russa.
Sergey Karaganov è capace di dire cose tremende sempre con il sorriso sulle labbra, un sorriso che non si capisce bene se frutto di una naturale gentilezza o del compatimento verso l’interlocutore, un altro europeo incapace di comprendere il nuovo mondo. «A prescindere da quello che legge, invece Vladimir Vladimirovich capisce quello che dico, e io capisco quello che lui pensa».
Al Forum economico di San Pietroburgo dello scorso giugno non era sfuggito a nessuno l’elogio del professor Karaganov fatto da Putin in persona, accompagnato persino da una pacca sulla spalla. «Mi ha fatto piacere. Credo che lui sia d’accordo con la mia visione del mondo».
Le coordinate di Karaganov, politologo, uno dei fondatori del Valdai Club alle cui riunioni Putin prende parte regolarmente, sono contenute in un testo di pochi mesi fa, Il sogno della Russia nel XXI secolo, dove propone l’adozione di una ideologia statale nel suo Paese, una sorta di nuovo collettivismo spirituale nel cui nome devono essere sacrificate le libertà individuali. Non si conosce l’opinione di Putin sul saggio di Karaganov. Ma il fatto che sia stato pubblicato sul sito del ministero degli Esteri e in quello del Consiglio di sicurezza è già un indizio.
«Gli Usa non rappresentano il peggio della civiltà occidentale. Sono molto più razionali di voi europei — nel nominarci, il sorriso di Karaganov diventa una smorfia di disgusto — e quindi diventa più facile trattare con loro. Ma Donald Trump non ha interesse nel fermare la guerra in Ucraina, se non quello della vanagloria personale, a meno che non vi sia una escalation verso un disastro totale, un fiasco come quello dell’Afghanistan, oppure un incidente nucleare. Lui e l’America ne stanno traendo beneficio, prosciugando l’Europa, spogliandola delle sue risorse, facendosi pagare per tenere in vita Kiev. Perché mai dovrebbe fermare tutto?».
L’idea di Karaganov per concludere il conflitto ucraino è quasi irriferibile. Nell’estate 2023 sostenne la necessità di lanciare una testata nucleare sulla Polonia. «Era un paradosso. Io dicevo solo che bisogna reinstallare il sentimento della paura nel genere umano, che ha completamente perso il timore di Dio e della guerra. Per questo dico che se voi ci attaccaste, dovremmo rispondere con l’atomica. Io spero nella pace, e sono grato a Putin e Trump per i loro sforzi. Ma i vertici e le strette di mano non bastano. A cominciare dagli Usa, tutti devono capire che noi non stiamo combattendo contro l’Ucraina. La nostra è una guerra contro l’Europa unita. Contro l’Europa di Napoleone e Hitler. Le vostre élite hanno perso ogni forma di credibilità e di autorità, e per questo cercano una guerra contro di noi. Per fermarle, potrebbe essere necessario uno choc». L’osservazione sul piccolo dettaglio che la Russia ha invaso uno Stato sovrano si perde nell’esposizione della sua ideologia statale, che sembra piacere anche a Putin e sembra pensata in contrasto alla discutibile idea del nostro continente, condivisa da entrambi.
A settant’anni suonati, dopo aver scritto discorsi per Breznev e per ogni altro presidente russo, «tranne Gorbaciov, del quale non condividevo nulla», dopo aver teorizzato la «Siberizzazione» della Russia, intesa come sguardo e portafoglio rivolto a Oriente, Karaganov si gode un riconoscimento tardivo derivante dall’adesione alle sue tesi da parte dell’ala più nazionalista del potere e dell’opinione pubblica russe. «Tengo a precisare che io e l’attuale presidente siamo due entità separate. Non sempre siamo d’accordo. Lui pensa che la fine dell’Urss sia stata la più grande tragedia del ventesimo secolo, io credo invece che le due Guerre mondiali siano state molto peggio. E sono entrambe cominciate in quell’Europa che oggi è la culla dell’individualismo più sfrenato, di un consumismo contro natura che ha generato un neofemminismo nichilista, la negazione della Storia e una inaccettabile libertà dei costumi. Quello che io propongo è una idea basata sul ritorno a valori comuni, antichi e condivisi. Io ho creato una ideologia per leader veri. E se vuoi esserlo davvero, sei obbligato a limitare le libertà individuali e civili. La missione della Russia è quella di fermare il degrado dell’uomo e di liberare il mondo dalle egemonie globali. E siamo finalmente sulla strada giusta. Forse per questo Trump è affascinato da Putin. Il presidente americano sa che siamo obbligati a vincere questa guerra. Ma il tempo delle sue scelte si sta avvicinando. O sta con noi, oppure sta con l’Europa».
Evgeny Savostianov, ex capo del Kgb di Mosca: «Putin accetterà la tregua a obiettivi raggiunti. L'Europa non si rende conto del rischio che corre» di Marco Imarisio
«Il capo del Cremlino vuole passare alla storia come "il grande raccoglitore delle terre russe"». L'Europa? «Si deve svegliare: il riarmo da solo non basta».
Nella sua vita precedente, Evgeny Savostianov faceva questo. «Analizzavo, studiavo documenti, facevo previsioni». Che fosse a capo del Kgb di Mosca, o dentro qualche ministero prima sotto Boris Eltsin e poi Vladimir Putin, il suo mestiere è sempre stato uno solo. Vive all’estero dal 2023, come conseguenza del suo no all’Operazione militare speciale che lo ha trasformato in «agente straniero». In virtù del suo passato, gli era stato concesso di restare a casa. Ma lui ha preferito andarsene. «In modi molto diversi, io e Vladimir Vladimirovich abbiamo un grado di duttilità molto basso».
Su cosa Putin non transige?
«Vuole assolutamente entrare nella storia come “Il Grande raccoglitore delle
terre russe”, colui che ha invertito la disgregazione dell’impero avviata
nel 1867 con la vendita dell’Alaska agli Usa. Non è solo per sé stesso:
l’inclusione in uno Stato unico di Ucraina e
Bielorussia gli consentirebbe di aumentare la «sua» popolazione fino a circa
188 milioni, con un ampliamento delle risorse di mobilitazione, del mercato
interno di consumo e dei quadri lavorativi. Era una teoria cara al vecchio Kgb:
più è piccola, più la Russia diventa ingovernabile. Il suo principale obiettivo
ha un fondamento sia pratico che ideologico».
L’Europa fa bene a preoccuparsi?
«Dovrebbe prima svegliarsi, e dovrebbe farlo in fretta. Il secondo obiettivo di
Putin, diretta conseguenza del primo, è il
ritrovamento di ruolo di egemone europeo e globale, perduto con lo
scioglimento dell’Urss. Poco importa se ottenuto attraverso governi o regimi
compiacenti. Nulla di nuovo: da reduce del Kgb, eravamo colleghi, subisce
l’influenza spirituale di stampo imperiale-espansionista proprio del Pgu, il
Primo direttorato del Kgb, che si occupava di intelligence estera, oggi Svr, e
quello nazionalista conservatore di “sbarramento” tipico dei funzionari del
controspionaggio. Nella sua prima squadra questi due schieramenti erano ben
bilanciati. C’erano rappresentanti sia dello spionaggio all’estero come Sergey
Ivanov, Igor Sechin, Sergey Chemezov, che del controspionaggio come Viktor
Ivanov e Nikolaj Patrushev. Il fatto che oggi prevalgano gli “esteri” è
significativo della dinamica degli umori di Putin».
Cosa cerca il presidente russo
dagli attuali negoziati?
«Accetterà una
tregua completa solo quando sarà sicuro di poter raggiungere i suoi grandi
obiettivi. Nel piccolo che per lui rappresenta l’Ucraina, appare
evidente che ha bisogno di un avamposto russo sulla riva destra del Dnepr.
Kherson e dintorni, per capirci. Così potrà tenere sotto pressione Odessa, la
Transnistria e Chisinau. Per questo non accetterà mai la dislocazione in
Ucraina di forze europee di deterrenza. Queste sono le “linee rosse” di Putin».
Una vera pace è possibile?
«Non ritengo possibile una fine della guerra senza un sostanziale cambiamento
del rapporto di forze sul fronte a favore della Russia, ancora più marcato di
quello attuale».
Cosa può fare l’Europa?
«Assumersi il fardello della responsabilità per il proprio destino. A
cominciare dall’Ucraina. Oppure, può rassegnarsi a una sottomissione de facto
all’alleanza tra Cina,
Russia e loro satelliti assortiti. Temo che da voi non ci sia alcuna percezione
del rischio che state correndo. Non mi riferisco a possibili invasioni, Putin
oggi non vuole e non può. Ma al pericolo della irrilevanza, in primo luogo dei
propri valori democratici».
Il riarmo è una soluzione?
«Anche. Ma da solo non basta. Oggi siete sotto schiaffo di due potenze come la
Russia e questi nuovi Usa, che detestano profondamente le vostre basi di
valori. Sono uniti da quello che ritengono essere un nemico comune: voi. Siete
circondati, in qualche modo. Ogni piano di
rafforzamento della capacità difensiva dell’Europa deve cominciare
da una potente campagna di informazione che spieghi ai cittadini la nuova
realtà, che smascheri e isoli i complici di quella che non è una rivoluzione
culturale in corso, ma un’aggressione mascherata».
Le intese tra Putin e Trump
porteranno alla ridefinizione di un nuovo ordine mondiale?
«Un nuovo assetto geopolitico sorgerà inevitabilmente a causa della decisione
degli Usa di ridurre drasticamente il loro ruolo negli affari internazionali.
Putin promuoverà la sua visione, cercando una zona di influenza a Ovest per
smarcarsi da quella, molto più vasta, della Cina. E lo farà indipendentemente
dai rapporti con Trump, che intanto si accinge a lasciare questi territori.
Anche per questo, l’Europa deve ritrovare lo status di soggetto politico
globale in modo da garantire autonomamente la propria sicurezza».
I nazionalisti russi sognano un
mondo diviso in tre: Usa, Cina e Russia. È uno scenario possibile?
«Se l’Europa non agisce, lo sarà. Con qualche distinzione. La Russia rimane un
Paese dal debole sviluppo tecnologico, che dipende interamente dalla Cina. In
questo nuovo ordine, si porrà come “il vice manesco” della corporazione globale
“Cina”. Non è certo un caso se Trump sogna di chiudere presto il dossier
Ucraina: vuole concentrarsi sul Pacifico, dove si deciderà l’esito della
partita tra Usa e Cina. Che nonostante le ambizioni della Russia, rimane
l’unica sfida di carattere davvero globale».
25 marzo 2025 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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