29 set 2020

Ultime notizie da Ponzano Veneto

 

Per venti anni hanno disposto a loro piacimento della rete autostradale, compiacendosi di aumenti tariffari concordati con i governanti di turno che hanno permesso di pagare lauti dividendi. Nel frattempo gli investimenti venivano dichiarati ma difficilmente realizzati. Ed oggi, pressati dal governo e certi del rischio di cause milionarie per le vittime del ponte Morandi provano a scaricare il rischio su CdP (ovvero sullo stato). Ovviamente sappiamo chi si nasconde dietro le società Atlantia e ASpI.

 

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Il Sole 24 Ore - 29 Settembre 2020

Per scampare il rischio revoca Atlantia offre lo sconto manleva. La holding scrive a Cdp: perizia sulle cause civili per decurtarle dal prezzo

Verso un nuovo incontro per l’ultima mediazione Oggi i cda delle due società

Atlantia prova a mettere sul piatto una proposta che in qualche modo aggiri il nodo della manleva per tentare di riaprire il dialogo con Cassa Depositi e Prestiti. Mentre il governo minaccia di procedere con la revoca della concessione in capo alla controllata Autostrade per l’Italia in mancanza di un’intesa con Cdp, la holding gioca le ultime carte che ha a disposizione: difendersi dall’accusa di non rispettare i patti con due lettere distinte da inviare all’esecutivo, e cercare di riannodare il filo della trattativa con l’ente. Rispetto a quest’ultimo punto, sebbene in assenza di contatti tra il vertice della compagnia e le prime file di Cdp, l’idea sarebbe quella di valutare la possibilità di concedere alla controparte una sorta di risk assestment, ossia un’analisi preventiva dei rischi indiretti connessi al crollo del Ponte Morandi da scontare al prezzo dell’offerta. Insomma niente manleva ma la possibilità di pagare meno del previsto l’asset. Opportunità ovviamente che vale per Cassa come per tutti i soggetti che hanno manifestato interesse da che è stata aperta la data room, ossia marzo scorso. Sarà sufficiente per riaprire il dialogo?

In ambienti vicini a Cassa si fa notare come sia molto complicato stimare ora i potenziali danni delle cause civili che verranno promosse in futuro, allo stesso modo si aggiunge come nulla di tutto ciò sia mai stato proposto da Atlantia che, come ultimo atto formale, ha inviato a Cdp una lettera lo scorso venerdì nella quale sostanzialmente rispediva al mittente gli inviti arrivati dall’ente riguardo i nodi della trattativa. Se lo “sconto manleva” possa dunque rappresentare la soluzione all’impasse lo si saprà solo dopo un nuovo contatto tra il vertice della holding e quello di Cassa che dovrebbe avvenire nelle prossime ore.

Nel mentre, come detto, il consiglio di amministrazione di Atlantia e quello di Aspi convocati per oggi, come riferito da Radiocor, manderanno due distinte missive con destinatari Palazzo Chigi, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero delle Infrastrutture. Autostrade metterà nero su bianco le proprie controproposte rispetto al contenuto dell’atto transattivo e del piano economico finanziario, con particolare focus sull'articolo 10 dell'atto, quello che vincola il buon esito della nuova convenzione alla finalizzazione positiva della trattativa con Cdp. Diversamente Atlantia cercherà di convincere il governo di aver rispettato i patti. La controllata Autostrade, si fa notare, ha presentato un piano economico finanziario che stanzia 3,4 miliardi di euro di risorse compensative, ha accolto il sistema tariffario ART, che riduce il tasso di rendimento degli investimenti (7%), e ha confermato un piano da 14,5 miliardi di euro. La controllante, da parte sua, ha avviato le procedure per uscire dal capitale di Aspi dopo due mesi di trattative con Cassa senza esito, durante i quali il tema manleva si è rivelato un ostacolo insormontabile per la distanza di posizioni con Cdp. E la revoca? Nell’atto transattivo inviato il 2 settembre dal Mit, all’articolo 5 è scritto che «non sussistono le condizioni per formulare nei confronti del concessionario ulteriori contestazioni di inadempimento». Insomma l’escutivo ha messo nero su bianco che la questione poteva ritenersi chiusa, riguardo la revoca. Tuttavia è anche vero che un atto transattivo è “valido” nel momento in cui le parti lo firmano e quell’accordo non porta alcuna sigla in calce.

Insomma, la matassa appare ancora una volta difficile da sbrogliare. Di certo, il governo sembra determinato a intervenire in maniera netta in mancanza di segnali che facciano ben sperare. Dal canto suo anche Atlantia è pronta a giocare le proprie carte. L’unico rischio è che in questo muro contro muro Autostrade e la sua rete finiscano sommerse dai debiti.

Laura Galvagni

 

25 set 2020

PD e BENETTON : il ritorno dei morti viventi

 Il PD è riuscito a non squagliarsi nel girone elettorale di settembre e immediatamente ha ripreso vita tutto il baraccone di amici e parenti collegati.
In pole position i signori delle autostrade (considerando che controllano pedaggi e ristorazione, grazie alle concessioni statali) che riescono nuovamente a farla franca, gettando nelle ortiche mesi di discussioni con il governo e cassa depositi e prestiti.
E, come al solito, tornano tranquilli a fare i loro comodi ....


Hanno vinto i Benetton: vendono a chi vogliono
Atlantia ignora le nuove minacce di revoca e vara lo scorporo senza attendere l’accordo con Cdp. L’88% di Aspi sarà ceduto sul mercato o conferito ad una società da quotare. Entra nel cda lady Ilva, Lucia Morselli, che sta facendo penare l’esecutivo
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Libero - NINO SUNSERI

Il consiglio d’amministrazione di Atlantia ha fatto quello che aveva promesso. Nella riunione di ieri ha disegnato il futuro per Autostrade per l’Italia (di cui possiede l’88%) ignorando il pressing del governo che adesso, attraverso Giancarlo Cancellieri, vice ministro grillino delle Infrastrutture, torna a minacciare la revoca della concessione Una possibilità già esclusa dall’Avvocatura dello Stato. Tuttavia indispensabile ai Pentastellati per dimostrare di essere in vita. Come dimenticare Di Maio e i Conte che all’indomani del crollo del Ponte Morandi avevano annunciato che i Benetton, proprietari della società sarebbero stati cacciati via immediatamente? Dopo due anni è ancora la dinastia trevigiana a dare le carte. Mette anche l’elmetto nominando in consiglio Lucia Morselli che, come capo dell’Ilva, è abituata agli scontri con questo governo.

La soluzione delineata da Atlantia passa attraverso un doppio binario: la vendita sul mercato di Autostrade per l’Italia attraverso una gara internazionale oppure lo spezzatino. Vuol dire che le rete autostradale verrà conferita ad una nuova società chiamata Acc (Autostrade concessionaria e costruzioni) di cui è prevista la quotazione in Borsa a partire dall’anno prossimo. Dalle prime indiscrezioni pare che ci sia già un interesse da parte del fondo sovrano del Kuwait (Kia).

IL RUOLO DI CDP

Questo scenario non esclude, ovviamente il coinvolgimento di Cdp con cui il tavolo negoziale si sarebbe interrotto un paio di settimane fa. Cdp, se dovesse rientrare in partita, dovrebbe farlo a condizioni di mercato. Per esempio acquistando il 12% della rete autostradale in mano ai francesi di Edf, ai tedeschi di Allianz e ai cinesi di Silk Road. Tuttavia non sembra che Fabrizio Palermo, capo della Cassa abbia intenzione di riprendere il negoziato. Resta il dato politico con la figuraccia rimediata dal governo. Il consiglio dei ministri del 14 luglio aveva delineato un percorso molto diverso da quello approvato dal cda di Atlantia. Era previsto, infatti, che Cdp entrasse direttamente in Autostrade per l’Italia con un aumento di capitale riservato. In questo modo avrebbe preso, insieme ad un gruppo di alleati, il controllo mettendo all’angolo la famiglia Benetton. Questa ipotesi però si è dimostrata immediatamente impercorribile perché avrebbe penalizzato gli interessi di tutti i soci e non solo la dinastia trevigiana. Da qui la decisione di dare il via ad un processo alternativo. Piazza Affari ha reagito positivamente facendo salire il titolo Atlantia ancora dell’1,6% a 13,8 euro. Tuttavia lil traguardo è ancora molto lontano.

CONDIZIONI

Non a caso il comunicato diffuso dopo il consiglio d’amministrazione indica una lunga serie di condizioni da superare. Sono barriere che il governo potrebbe alzare in qualsiasi momento esponendosi, però al rischio di reazioni molto forti. Ieri il fondo inglese Tci titolare del 7% di Atlantia si è dichiarato soddisfatto. Segno che dietro il consiglio d’amministrazione c’è uno schieramento di investitori internazionali molto potente.

Per andare avanti sul progetto di scissione serve circoscrivere il rischio legale derivante dal crollo del Ponte Morandi. Autostrade ha già pagato un indennizzo di 3,4 miliardi. Basteranno? Difficile dirlo considerando che proprio il problema della garanzia è stato l’inciampo su cui è crollata la trattativa con cdp. C’è poi da stabilire il nuovo Piano tariffario. È un passaggio fondamentale per stabilire il valore di Autostrade. Il governo, finora ha tenuto il dossier in frigorifero aspettando di capire le intenzioni del gruppo. Adesso potrà decidere. L’indicazione è quella di un abbattimento dei pedaggi riducendo la redditività dall’11 al 7%. Un taglio ulteriore rischierebbe di danneggiare anche Cdp se mai tornasse in partita. Senza contare, ovviamente, il fatto che tutta l’operazione dovrà passare l’esame dell’Anas e poi della Consob. Un equilibrio molto delicato che aspetta una soluzione. Soprattutto per i 14,5 miliardi di investimenti promessi da Autostrade.

16 set 2020

Benetton chiagne e fotte

"chi chiagne fott' a chi rire"

Giovanni Pons - La Repubblica 15.09.2020

Il tavolo tra Atlantia, Cdp e governo, che nelle intenzioni di luglio scorso doveva portare a un accordo con il passaggio delle Autostrade nelle mani dello Stato, è a un passo dal saltare.

L' ultima goccia è rappresentata da una lettera, inviata dai vertici di Atlantia alla Ue all' attenzione del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, nella quale la società di proprietà della famiglia Benetton denuncia senza mezzi termini il comportamento non conforme alle regole comunitarie del governo italiano. Chiedendo inoltre alla Commissione di intervenire avviando una procedura di infrazione contro l' Italia.

Ovviamente questa nuova iniziativa da parte della società che ha sulle spalle la caduta del Ponte Morandi non è piaciuta alla compagine governativa che sta lavorando intorno all' operazione. La ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli, aveva fatto sapere ad Aspi, attraverso una missiva di inizio settembre, che considerava essenziale, per chiudere la procedura di revoca in corso, avere la certezza dell' ingresso della Cdp nel capitale di Aspi (Autostrade per l' Italia) con la contestuale uscita totale dei Benetton.

Ma la società guidata da Roberto Tomasi ha ribattuto sostenendo l' impossibilità di vincolare un atto aggiuntivo tra concessionario e Mit a un evento esterno di diritto privato, come l' apertura del capitale di una società, la cui decisione spetta solo ai suoi azionisti.

Questo corto circuito sta mettendo in seria difficoltà tutta la trattativa. Il governo vorrebbe infatti in primo luogo un aumento di capitale di Aspi riservato alla Cdp per salire al 33 per cento, la vendita di un altro 22 per cento di Aspi ad altri azionisti vicini alla stessa Cdp, e quindi il resto delle azioni di Aspi collocate in Borsa attraverso una Ipo (Initial public offer).

Ma questo schema, ribattono i vertici di Atlantia, penalizza gli azionisti di minoranza di Aspi, cioè Allianz, Edf e Silk Road, che verrebbero diluiti da un aumento di capitale a sconto rispetto al prezzo pagato qualche anno fa. La soluzione alternativa passa per la scissione di una quota fino all' 88 per cento di Aspi in una nuova società dove sarebbe entrata la Cdp attraverso un aumento di capitale a un prezzo da definire. A valle della scissione la Edizione della famiglia Benetton si è già impegnata a vendere le azioni Aspi che avrebbe ricevuto e a uscire totalmente dal capitale.

Per chiudere la trattativa tra Atlantia e Cdp rimanevano comunque da definire la delicata questione delle manleve legali, su cui le due parti sono molto distanti, e le modalità di rimborso dei prestiti a seguito dell' aumento di capitale.

Ma evidentemente c' è poca volontà di andare avanti, viste la presa di posizione della ministra da una parte e la dura denuncia alla Ue dall' altra. Mosse che hanno portato la situazione a un passo dalla rottura.

Ora il governo ha sempre l' arma della revoca in mano, anche se in due anni l' ha sempre minacciata e mai esercitata. Mentre Atlantia sembra voler andare avanti per la sua strada rendendo operativa la scissione avendo fissato per la settimana prossima un nuovo cda che dovrà convocare l' assemblea straordinaria con all' ordine del giorno la scissione.

A quel punto le azioni Aspi saranno automaticamente quotate in Borsa e la Cdp, se vorrà entrare nel capitale, non potrà far altro che comprarsi le azioni sul mercato.


... ma magari una multa da miliardi di euro pari ai soldi dei rialzi tariffari effettuati negli anni su promesse di investimenti mai effettuati dai tempi del governo d'alema (1999) ... e poi sediamoci ai tavoli a discutere ....

8 set 2020

Ecco chi sono i "signori" di Autostrade ..

 (La Repubblica - 08/09/2020)

I lavori mai fatti al ponte Morandi, “Aspi voleva farli pagare al ministero"

Un ingegnere interrogato avrebbe dichiarato al pm che prima del crollo il consolidamento e la messa in sicurezza del viadotto sarebbero stati presentati come manutenzione straordinaria, quindi a carico della pubblica amministrazione e non della concessionaria

di GIUSEPPE FILETTO
Come in una sorta di roulette russa in cui ognuno cerca di evitare il colpo in canna e riservarlo agli altri, avevano "scommesso" sul progetto di retrofitting, presentandolo come un intervento di manutenzione straordinaria, un difetto strutturale e di progettazione, in modo che i costi fossero a carico del ministero delle Infrastrutture e non della concessionaria. Anche se Autostrade per l'Italia e la capogruppo Atlantia sapevano del "pericolo di crollo", conoscevano quel documento di "programmazione del rischio", stilato dall'apposito ufficio, relativo alle condizioni del ponte Morandi prima del disastro. "Era un rischio teorico e nessuno di noi immaginava che crollasse - ha dichiarato il testimone - . Pensavamo di potere dare avvio al progetto di retrofitting in tempo".

Questo ha confermato l'ingegnere della holding, interrogato venerdì scorso dal pm Walter Cotugno (titolare insieme al suo collega Massimo Terrile dell'inchiesta madre, quella sul crollo). L'interrogatorio è stato tenuto nascosto, all'interno della caserma Testero della Guardia di Finanza a Sampierdarena.

E però dal 1993, dall'anno del primo intervento strutturale di rinforzo sulla pila 11, sulle altre campate (la 9, quella crollata, e la 10, quella demolita con la dinamite il 23 luglio del 2019) non era stato fatto alcun intervento pesante di messa in sicurezza, nonostante una relazione del 1993 segnalasse problemi di corrosione. E una precedente perizia ordinata da Aspi allo stesso progettista. L'ingegnere Riccardo Morandi già nel 1981, appena 14 anni dopo l'inaugurazione, ammette gli errori e scrive: "... La struttura esposta ad agenti atmosferici presenta corrosioni di più sul lato mare rispetto al lato monti... una degradazione del cemento armato molto rapida in alcune parti... molto di più di quanto ci si potesse aspettare...".

"C'era il progetto di retrofitting - ha dichiarato l'ultimo interrogato come persona informata sui fatti - avevamo puntato su quello". Ma è solo dalla fine del 2014 che si inizia a pensare all'intervento da 20 milioni di euro. Non soltanto quindi Giuliano Mari, attuale presidente di Autostrade, ma anche gli altri dirigenti della società sarebbero stati a conoscenza di quel documento. Mari è stato sentito il 6 agosto scorso a Genova, in gran segreto, come testimone. L'ingegnere di 74 anni, tanti dei quali trascorsi tra la capogruppo (Atlantia) e le altre società ad essa collegate, è stato nominato presidente di Aspi lo scorso gennaio: ha sostituito Fabio Cerchiai, e la sua nomina è stata contestuale a quella di Roberto Tomasi (indagato limitatamente e nell'ambito del filone di inchiesta relativo ai pannelli fonoassorbenti difettosi), amministratore delegato che ha preso il posto di Giovanni Castellucci. Quest'ultimo dall'indomani della strage del 14 agosto 2018 è stato indagato, poi "licenziato" da Autostrade con una liquidazione da 13 milioni di euro.

Tutti i testimoni sentiti finora sull'argomento avrebbero ammesso che tra il 2014 e il 2016 l'attestato stilato dall'apposito ufficio di Aspi - in cui si parlava di "rischio crollo" per il viadotto sul Polcevera - sarebbe stato trasmesso alle varie società del Gruppo Atlantia. Secondo quanto trapela, gli interrogatori sono serviti a cristallizzare un punto fermo sulla conoscenza del "rischio crollo": quanto dichiarato durante questi due anni di indagini dai testimoni, oltreché dalle mail e dalla corrispondenza cartacea sequestrate. Negli anni in cui Mari era nel consiglio di amministrazione della holding, faceva anche parte del comitato che gestisce "il rischio". Come i dirigenti interrogati negli scorsi giorni, fra cui l'ingegnere sentito venerdì. Tutti, in qualche modo, avrebbero confermato di essere a conoscenza del documento. Anche se fino al 20 novembre 2019, quindici mesi dopo del disastro, i dirigenti di Aspi davanti ai magistrati e ai media avevano dichiarato che per il viadotto genovese nessun report di Spea (società gemella delegata al monitoraggio della rete autostradale fino al 2019) aveva mai messo in allarme, scritto nero su bianco, del pericolo di cedimenti. Quel documento del "rischio crollo" svelato in esclusiva da Repubblica il 20 novembre 2019, era stato scovato all'interno del registro digitale di Atlantia nel marzo dello stesso anno dai finanzieri del Nucleo Operativo Metropolitano ( guidati dal tenente colonnello Giampaolo Lo Turco) e del Primo Gruppo di Genova (diretto dal colonnello Ivan Bixio).

Ma adesso c'è di più. I vertici di Aspi e di Atlantia, pur a conoscenza del pericolo, avrebbero puntato a far rientrare i costi nel piano finanziario del ministero. E non sulla manutenzione ordinaria pagata con i pedaggi. "Non è un ragionamento folle - spiega un ingegnere del Mit che per 13 anni si è occupato di autostrade, ma che per ovvie ragioni preferisce l'anonimato - non c'è obbligo da parte del concessionario di intervenire qualora si tratti di difetti strutturali. Non si può affermare che l'ammaloramento dei tiranti sia colpa di Autostrade. Certo - precisa l'ingegnere - diventa un ragionamento insano davanti ad una situazione di pericolo".

Il progetto di retrofitting sulla pila 9 è avviato soltanto nell'autunno 2017, a febbraio 2018 vagliato dalla commissione tecnica del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Liguria, in aprile approvato da Autostrade e soltanto a giugno arriva al Mit per l'ok definitivo. I lavori sarebbero iniziati in autunno: troppo tardi, il 14 agosto la strage con 43 morti.