Il dossier della Corte dei Conti sulle concessioni
"Tariffe
cresciute molto più dell’inflazione"
MILANO — La
Corte dei conti regala un prezioso assist al governo nel braccio di ferro con
la famiglia Benetton sulle Autostrade. E apre la porta — con una
sponsorizzazione implicita del lavoro del pool di esperti del ministero delle
infrastrutture — alla possibile revoca senza indennizzo delle concessioni.
La relazione
dei giudici contabili sul settore si è chiusa infatti con un j’accuse durissimo
al sistema, segnalando «numerose carenze di gestione delle tariffe non regolate
sulla base dei costi sostenuti», contestando la scarsa trasparenza dei contratti tra pubblici e privati e
sottolineando il calo graduale degli
investimenti malgrado una remunerazione (per i concessionari) molto più alta
dei tassi d’inflazione. I signori del casello — calcola la Corte dei conti
— si sono portati a casa un rendimento medio del capitale del 7%, Autostrade
per l’Italia addirittura del 10%. Merito degli aumenti tariffari accordati in
un settore dove «l’attività di controllo
è ostacolata da personale dedicato a danno dell’interesse pubblico ».
La
radiografia della Corte è particolarmente impietosa sui tempi (troppo lenti) e
la qualità dei rinnovi delle concessioni
garantiti negli anni passati. Operazioni fatte «senza gara» e — dopo il
rinnovo concesso al gruppo dei Benetton nel 2008 — con un nuovo schema che
prevede «un costo eccessivo di subentro
per lo stato» e regala alle aziende
la possibilità di eseguire in proprio, con società controllate, una fetta
troppo importante dei lavori sulle autostrade. I dati di profitti e
investimenti calcolato dalla Corte parla da solo sulle falle del sistema dei
controlli. Gli utili netti di sistema sono cresciuti di quasi 600 milioni l’anno
in un lustro, mentre le spese per la manutenzione e le strutture nello stesso
periodo si sono dimezzate, «causa incertezze normative e ritardi nelle
approvazioni» si difendono i concessionari. La rete autostradale è stata del
resto nell’ultimo decennio una autentica gallina dalle uova d’oro per i gestori
che si sono regalati nel periodo quasi 10 miliardi di dividendi.
Il capitolo
più interessante della relazione, agli occhi del governo, è quello relativo al
possibile indennizzo (circa 20 miliardi) previsto dalla concessione per
Autostrade in caso di ritiro, anche se avvenisse «per gravi responsabilità»
della holding dei Benetton. Il tema — ammettono i giudici — andrà discusso in
altra sede ma si tratta di «una clausola eccentrica e molto sbilanciata in favore
della concessionaria ». Ma ci tengono a riportare ampi stralci del lavoro degli
esperti del Mit, secondo cui ci sono ampi margini di manovra legali per
arrivare al ritiro delle tratte da Atlantia senza bisogno di pagare alcun
rimborso. Anche se altri strascichi giudiziari legati al divorzio, ammette il
lavoro di questo pool, rischiano di aprire buchi importanti nella contabilità
pubblica.
(la
Repubblica 24.12.2019)
La Corte dei Conti riporta quindi sei estremi per possibili reati:
a) scarsa trasparenza dei contratti (DLgs 33/2013 sulla trasparenza)
b) remunerazione molto più alta
dei tassi d’inflazione (prevista in convenzione al 70% dell'inflazione reale)
c) attività di controllo ostacolata (art. 2638 codice civile)d) rinnovi delle concessioni «senza gara» (DLgs 50/2016 codice degli appalti)e) nuovo schema al rinnovo con un costo eccessivo di subentro
per lo stato (cui prodest?)f) eseguire in proprio gran parte dei lavori (DLgs 50/2016 codice degli appalti)
Tutto grazie ad una privatizzazione che è bene ricordare con un articolo di Giuseppe Oddo (https://www.giuseppeoddo.net/):
"L’acquisizione della società Autostrade dal gruppo Iri è stata l’operazione più lucrosa mai realizzato da Edizione, la cassaforte finanziaria della famiglia imprenditoriale di Ponzano Veneto.
"L’acquisizione della società Autostrade dal gruppo Iri è stata l’operazione più lucrosa mai realizzato da Edizione, la cassaforte finanziaria della famiglia imprenditoriale di Ponzano Veneto.
I particolari dell’acquisizione sono descritti in modo sintetico nell’Analisi trimestrale dei bilanci di R&S-Il Sole 24 Ore del 24 dicembre 2009, la pagina dedicata ai conti dei grandi gruppi quotati in Borsa. La fonte dei dati è dunque la società di studi e ricerche di Mediobanca.
L’acquisizione avvenne tramite una scatola finanziaria appositamente costituita, Schemaventotto. Per aggiudicarsi il 30% di Autostrade, Edizione nel 2000 investì attraverso Schemaventotto 2,5 miliardi di euro, di cui 1,3 miliardi di mezzi propri e 1,2 miliardi presi a prestito.
Il secondo passaggio avvenne nel 2003, quando un altro veicolo finanziario controllato da Schemaventotto, denominato NewCo28, rilevò con un’Opa il 54% di Autostrade per 6,5 miliardi. In tal modo NewCo28 incorporò Autostrade scaricandole il debito che aveva contratto per finanziare l’Offerta.
Per i Benetton l’operazione si chiuse a costo zero. Schemaventotto tra il 2000 e il 2009 prelevò infatti da Autostrade 1,4 miliardi di dividendi, tutti generati da utili, e ne collocò in Borsa il 12% con un incasso di altri 1,2 miliardi. Il ricavato totale fu di 2,6 miliardi di euro.
I Benetton sono pertanto rientrati dal debito, hanno recuperato i mezzi propri investiti, e la loro partecipazione nella società vale oggi svariati miliardi. Dal canto suo Autostrade, nonostante l’elevata esposizione finanziaria, continua ad avere una forte redditività e a generare profitti in misura superiore ai dividendi.
La privatizzazione di Autostrade, ossia il trasferimento di un monopolio naturale in mani private realizzato dalla maggioranza di centro-sinistra, porta su di sé il marchio di Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi, Mario Draghi e Massimo D’Alema. Il processo di privatizzazione maturò durante il primo governo Prodi e proseguì e si concluse senza soluzione di continuità con il governo D’Alema, con Ciampi ministro del Tesoro di entrambi gli esecutivi, Draghi direttore generale e Gian Maria Gros-Pietro presidente dell’Iri."
Concessione prorogata fino al 2038 dal governo Renzi.