(la repubblica 28.08.2015)
Prudenza di Padoan sul taglio delle tasse Gelo con Palazzo Chigi
(di valentina conte)
(di valentina conte)
ROMA. La ripresa dopo i tuffi non è stata proprio delle più brillanti. Qualche giorno di
pausa, poi le uscite al meeting di Rimini. E già le prime
fibrillazioni. Il premier Renzi galvanizza ciellini e italiani con il
taglio delle tasse sulla casa. Il giorno dopo, due dei suoi ministri
chiave per la strategia di politica economica, Padoan e Poletti, quelli
che hanno in mano i cordoni della borsa e le leve per
rilanciare l’occupazione, frenano o sono costretti a frenare. Il numero
uno dell’Economia ricorda che non esistono tagli delle tasse senza
analoghi sacrifici di spesa. Quello del Lavoro prima annuncia gli ultimi
quattro decreti attuativi del Jobs Act, poi subito dopo ritratta, in
seguito a una telefonata con Renzi. Nel mezzo, il pasticcio
dei dati sbagliati sull’andamento dei contratti nei primi sette mesi
dell’anno. Pubblicati e poi rettificati.
Ufficialmente, i dicasteri negano tensioni. «Il ministro Padoan ha
ribadito solo principi », dicono dal Tesoro. «Il rinvio dei decreti
alla prossima settimana dovuto solo a un ordine del giorno del Cdm
troppo denso», aggiungono dal Lavoro. Meno serafico Palazzo Chigi.
L’irritazione per «la figuraccia» di Poletti sui dati esiste.
Nell’entourage del premier qualcuno definisce addirittura il ministro
«un disastro». Si nega però un legame diretto con lo slittamento dei
decreti, dovuto più che altro al braccio di ferro su alcuni nodi non
sciolti. Come il controllo a distanza e la cassa integrazione, possibile
miccia di scontro con i sindacati. E fonte di ulteriori polemiche.
L’idea di irritazione montante nei confronti di Padoan non sfiora
invece nessuno. «Il ministero dell’Economia frena sui piani di Renzi? E
qual è la novità? Frena sempre ». Così anche la disquisizione del
ministro a Rimini viene ricondotta alla normalità. Quasi alla
banalità: «Acqua calda». Eppure il ministro qualcosa di importante l’ha
detta: «Abbattere le tasse va bene, ma deve essere una decisione
permanente e credibile». Misure che durano un anno e poi non vengono
riconfermate, non servono. Dunque come finanziare il libro dei sogni di
Renzi? «Il taglio delle tasse deve venire da un parallelo taglio
della spesa», dice netto Padoan. «Mi piacerebbe tagliare 50
miliardi di tasse domani, come molti mi suggeriscono. Magari. Ma la
vera questione è il finanziamento dei tagli, ecco perché serve un
orizzonte medio-lungo».
Non proprio una sciocchezza. Il pacchetto di spending review ,
firmato Gutgeld-Perotti, vale 10 miliardi sul 2016 ed è già prenotato.
Serve a evitare l’aumento di Iva e accise dal prossimo gennaio (la
clausola vale oltre 16 miliardi, la parte restante è coperta dagli
sconti concessi da Bruxelles per le riforme in atto). Una coperta
dunque troppo corta per scaldare tutti i desiderata. Palazzo Chigi
confida in Bruxelles. Il Tesoro ricorda che il margine di trattativa
potrebbe essere risicato (solo lo 0,1%). E dunque mette le mani
avanti. Se non possiamo fare deficit, occorre affondare sulla spesa.
Non ce n’è. «Non è detto, vediamo », si ripete da Chigi. Il premier
tra l’altro non è spaventato dallo zero virgola di crescita. Né dai dati
ancora molto deboli sull’occupazione, benché non abbia gradito il
balletto di cifre tra martedì e mercoledì. Teme piuttosto un difetto di
comunicazione. «I cittadini non ci capiscono, le riforme non
“passano”, tranne quella sul Jobs Act», avrebbe detto ieri in Cdm.
Merito suo, non di Poletti però.
-------------------------------------Occupazione e ripresa tra governo, Inps e Istat è la guerra dei dati
Poletti: “Quando si sbaglia bisogna ammetterlo” ma si riapre la polemica per le fonti delle statistiche
Il balletto delle cifre sul lavoro non è una novità di questi giorni.
«È stato fatto un errore, bisogna riconoscerlo e correggerlo», ha
ammesso ieri sera il ministro Giuliano Poletti alla festa dell’Unità.
Aggiungendo che «ogni mese crescono i contratti stabili e diminuiscono
le collaborazioni». Eppure il caos sui numeri purtroppo va in scena con
regolarità da gennaio. Da quando cioè partono gli sgravi sulle
assunzioni. E le aspettative per gli effetti del Jobs Act, entrato in
vigore a marzo, vanno di pari passo con la febbre politica di annunciare
che l’occupazione riparte. Di qui, roboanti dichiarazioni seguite da
clamorose retromarce hanno ceduto il passo solo alla confusione. Dovuta
alle tre fonti delle cifre: Inps, Istat e ministero del Lavoro. E
all’uso che se ne fa.
«Quando vedo che a marzo sono state assunte 92 mila persone mi
rincuoro», diceva il premier Renzi in tv, mostrando di preferire le
tabelle del ministero alle altre (allora, non oggi). «L’Istat fa i
sondaggi», chiosava. Era il 23 aprile. Sette giorni dopo l’istituto di
statistica inchiodava l’Italia a meno 59 mila occupati a marzo
rispetto a febbraio. Con la disoccupazione tornata al 13% e al 43%
quella giovanile.
Facile
capire perché il governo scelga dei numeri alla bisogna. Il 2 marzo il
ministro del Lavoro esultava per gli 11 mila occupati in più a
dicembre su novembre (senza sgravi). Al punto da profetizzare 150 mila
posti extra nell’intero 2015, contro i 130 mila del 2014. Un mese dopo
era subissato di critiche per i miseri 13 contratti stabili in più nei
primi due mesi dell’anno (un po’ come i 47 di due giorni fa). Anche
allora il cattivone era l’Istat (oggi il suo stesso ministero). Difeso
però dal presidente dell’Inps Tito Boeri: «I dati che fanno testo sono
quelli dell’Istat».
Meno
facile capire perché i dati confliggono tra loro. Chi dice la verità?
Probabilmente tutti. Natura, tempi, elaborazioni differenti si
traducono in risultati diversi, dunque da interpretare con prudenza.
Ma ai tempi della tweet politica, non c’è tempo per la riflessione. E
parte il cortocircuito.
L’Istat esce con il dato trimestrale sulle forze lavoro e la sua
indagine campionaria è il dato statistico ufficiale dell’Italia
comunicato ad Eurostat, elaborato secondo standard internazionali.
Molto più dunque del “sondaggio” di Renzi. L’Inps e il ministero del
Lavoro trattano invece dati amministrativi, dunque i
contratti che si aprono e si chiudono. Qual è la differenza? Se un
collaboratore viene assunto a tempo indeterminato nei dati Inps e del
ministero risulta un contratto di lavoro in più, mentre per l’Istat
l’occupazione complessiva non aumenta, perché tiene conto delle teste.
Tra l’altro, Inps e ministero escludono alcune categorie, come pubblica
amministrazione e lavoro domestico.
Tutti i dati, va detto, quando escono sono provvisori. Devono cioè
essere depurati, rettificati, puliti. Specie quelli del ministero, come
si è visto in questi giorni. E soprattutto da quando il dicastero di
Poletti (in aprile) ha deciso di uscire con cadenza mensile. Mossa forse
improvvida, considerata la difficoltà di un reale controllo di qualità
delle tabelle. A maggio il ministro Poletti annunciava una riunione
per la fine del mese con Inps e Istat per «l’integrazione dei dati».
Non se n’è saputo più nulla. Mentre il presidente dell’Istat Giorgio
Alleva, venti giorni fa, definiva questo caos «poco edificante» e
«approssimazione» l’uso che si fa dei dati non Istat. Un groviglio al
momento senza uscita. (v.co.)